Stia è situata ai piedi del Monte Falterona, alla confluenza
dell'Arno con il torrente Staggia.Laciviltà etrusca,che ebbe in
Arezzo una delle più potenti lucumonie, si estese fino a questi monti.Sotto il dominio romano, il Casentino ospitò
colonie romane e famiglie patrizie; ciò è attestato da vari toponimi. come
Trinità, Prataglia, Selvamonda, Strumi, Pietrafitta e alcuni centri come le
antichissime Pievi di Montemignaio, Romena, Stia, Castel S. Niccolò,
Buiano.
Ci sono vari siti archeologici di epoca etrusca e romana visitabili in Cosentino, come l’Ara del tempio di Pieve a Socana, iresti della Villa Romana nella cripta di Buiano (Poppi),e il cosiddetto Lago degli Idoli sul Monte Falterona (Stia).Del periodo Romano nel
Casentino abbiamo prove evidenti nelle monete d’oro di Foca, trovate a Faltona
e Lierna, a Castel Castagnaio (Stia), e in antichi edifici destinati al culto.
Sicuramente
all'epoca romana sono riferibilii
ritrovamenti effettuati fra Stia ed il monte Falterona (nelle località Monte di
Gianni, Moiano, Mattonaia, Pian delle Gorghe, Poggio Castagnoli).Abbiamo notizie dell'insediamento del cristianesimo nel Casentino soltanto dai secoli XI-XII, come dimostrano gli edifici
delle Pievi di Stia, Romena, Vado e Montemignaio.
Nel mondo
antico Stia fu un villaggio situato lungo la romana Via Maior, che collegava il Casentino a San Godenzo, nel
Mugello.Il toponimo deriva
sicuramentedal Latino stadium, antica unità di misura romana, poi volgarizzato in staggio,staio, e staja,per contrazione dal
nome del torrente Staggia. La cosa è confermata dall’Archivio Glottologico Italiano:
“Stia e
Staggia nel Casentino furono certo Staja.
Divinità romane dedicate a un culto delle acque furono trovate in varie
località del Casentino, sul Monte Falterona nel Lago degli idoli, e presso il
laghetto ormai prosciugato di Ciliegeta,
che si trova nei pressi di Stia”.
Per quanto
riguarda il Medioevo, le prime notizie sul villaggio di Stia si trovano nel Regesto Camaldolese relativamente agli anni1053-1054, dove è citata la Plebe S. Mariae de Staia;
successivamente, nel 1093, troviamo citato un Casale de Stia. Nel Medioevo Stia si sviluppò come mercatale (mercato) della Contea di Porciano e residenza del ramo
dei Conti Guidi detti anche di Palagio,per ricordare la costruzione, avvenuta nel
1230, di una residenza signorile sulle rive del torrente Staggia.
Nel
1402il villaggio passò sotto il dominio
di Firenze col nome di Palagio Fiorentino.
E. Repettinarrò la storia di Stia in questo modo:
“Fu il
castello vecchio di Stia con il suo territorio annesso tra i feudi dei Conti
Guidi del ramo di Porciano, che abitarono nelpalazzo in Stia vecchia detto il Palagio
[...] che poifu detto Palagio Fiorentino. Una delle memorie
superstiti in cui è ricordato il ramo dei Contidi Stia insieme alla sua pieve furono dovute agli Annalisti Camaldolesi, [...] in un atto di donazione scritto nell'
aprile di detto anno nella camera del pievano di Santa Maria situata in Stia
nel Casentino [...]. Daldocumento
apprendiamo che il donatore fu un Conte Guido fu Alberto; che i conti di
Porciano fossero anche di Palagio o di Stia vecchia lo afferma anche lo storico
FiorentinoScipione Ammirato che rammenta un Conte Porciano al servizio dei
Fiorentini e comandante di un corpo di cavalleria il quale dallo stesso
scrittorevenne designato col titolo di
Palagio”. La storia di Stia in seguito rimaselegataai Medici e terminò con il granduca
Giangastone. nel 1737, quando gli successe la dinastia dei Lorena, che durò fino all'unità
d'Italia.
Sotto
l’aspetto storico-artistico, Stia vanta manufatti di origine medievale di tutto
rispetto. In piazza Tanucci è situata la Pieve di Santa Maria Assunta, di stile romanico
e risalenteal XII secolo,dove sono conservati alcuni quadri di
ragguardevole valore artistico, come il trittico dell’Annunciazione di Bicci di
Lorenzo, degli inizi del XV secolo, una Madonna
col Bambino della scuola di Cimabue,
una terracotta bianca invetriata di Andrea
della Robbia, ed un ciborio in terracotta policroma invetriata, del XVI
secolo,opera attribuita alla bottega dei Della Robbia.
Le origini
di Pisa sembrerebbero ancora oggi
molto incerte. Esistono infatti tesi su una sua possibile origine ligure o greca, ma la storiografia contemporanea ha fugato molti dubbi circa
le origini della città, che sarebbe nata dall’aggregazione di alcuni villaggi
etruschi alla confluenza del fiume Auser
nell’Arno. Di certo sappiamo che i più antichi ritrovamenti archeologici risalgono
all’età del Bronzo, e abbiamo notizia di insediamenti etruschi databili tra il
V e il VII secolo a.C. Per via dell’incertezza circa le origini, in passato vi
furono dubbi consistenti intorno all'etimologia
del toponimoPisa. C’è però il dato storico che Pomponio Mela assegnò un’origine
etrusca a Pisa: “Pisae Etrusca et loca et nomina (o flumina) ” [Pisa è etrusca
per luoghi e nomi (o fiumi)] (P. Parroni). Alcuni codici, al posto di “nomina”,
riportano la lezione “flumina”, ma P. Parroni ha preferito la lezione “nomina”,
tramandata da Vibio Sequestre, al posto di “flumina” proposta da Cluverius. ( Pomponii Melae De Chorographia). Oggi è
pressoché universalmente accettata l’ipotesi per cui il toponimoPisa significherebbe luogo palustre. L’idea fu ventilata già nel XIX secolo da E. V. Montazio ,il quale osservò:
“Mazzocchi, dopo aver citato in Eusebio l’opinione che la voce Pisosaltro non denota se non luogo
acquoso, denominazione giusta, tanto per Pisa in Elide che per la Toscana,fa risalire l’etimologia di questo vocabolo
al verbo ebraico significantepus, augescere,
exundare,il cui nome vale quanto luogo palustre, e da ciò trae motivo di ritenere ambo quei nomi
spettare non ai greci maai Tirreni
orientali” (Annali di Pisa). Si sottolinea, tra parentesi,che Tyrreni
sostituiva a volte il più diffuso termine Tusci
[Etruschi].Più recentemente l’ipotesi è
stata suffragata da Pietro Dini, per il quale il toponimo latino Pisae ( in greco Pisa, Pisai, Peisa e Peisai) è un nome di matrice
indoeuropea, con il significato sia di acque
stagnanti sia di acque correnti
(P. Dini).
Dal punto di
vista strettamente storico, l’origine etrusca di Pisa è stata sostenuta con
ottimi argomenti ed adeguati riferimenti archeologici da S. Bruni, il quale si
batté per molti anni perché l’origine etrusca di Pisa fosse definitivamente
riconosciuta dalla critica:
“La grande
stagione etrusca di Pisa, più volte ricordata dalla stessa tradizione
letteraria greca e latina, era ancora nella seconda metà del XVIII secolo – e
lo sarà ancora per molto essendo conquista assai recente, legata com’è alla
serie di scavi e scoperte effettuati nell’area della città nel corso
dell’ultimo trentennio – praticamente sconosciuta” (S. Bruni).
Se infine
consideriamo, sia pure con le debite differenziazioni tra epoche molto diverse
tra loro sotto l’aspetto ambientale, che gran parte della storia alto-medievale
di Pisa ruota attorno a tutta una serie di impaludamenti, l’ipotesi di un
toponimo che rispecchi l’idea di una zona “ricca d’acque” ha una sua indubbia
consistenza storica oltre che linguistica (M. Baldassarri-G. Gattiglia).
In età romana Pisa si schierò decisamente
conRoma nella sua politica
espansionistica, ed il suo sistema portuale fu spesso usato come base per le
flotte romane. Pisa diventò municipium
nel I secolo a.C. e coloniasotto l’imperatore Augusto. Dopo la caduta dell’impero romano,Pisa fu governata sicuramente dai Bizantini e poi, secondo una tradizione
incerta,dai Longobardi, che l’avrebbero conquistata con Rotari verso la prima metà del VII secolo. Anche su questo le tesi
divergono, perché secondo parte della storiografia,parrebbe che Pisa fosse rimasta immune dalla
conquista [Ceccarelli Lenut]); però, nonostante la mancanza di fonti scritte,
l’archeologia ha dimostrato la presenza di tombe longobarde a Pisa. Nell’XI
secolo Pisa fu una delleRepubbliche
Marinare più potenti in Italia, e la flottapisanaassicurò alla città il
dominio del Mediterraneo occidentale per gran parte del Medioevo.Tra il XII e il XIV secolo Pisa, grazie alla
sua importanza strategica e militare, si ingrandì inglobando numerosi villaggi
intorno ad essa, e ciò comportò la creazione di nuove strade e piazze, nonché
delle tipiche Case-Torri,
appartenenti alla nobiltà e al prospero ceto mercantile della città, che avviò
Pisa a un grande sviluppo edilizio ed economico.
La crescita
della città si arrestò quando Pisa fuconquistata da Firenze, che la dominò per quasi tutto il XV secolo. Ciò
significò una inevitabile perdita di importanza della città; però, sotto il
dominio di Firenze, Pisa fu anchenotevolmente fortificata sulmare
con opere di celeberrimi ingegneri militari come Filippo Brunelleschi. Verso la fine del XV secolo Carlo VIII di Francia sottrasse Pisa a
Firenze,dandole ampiaautonomia di governo, che durò fino per tutta
la prima decade del XVI secolo, quando la città fu di nuovo conquistata daFirenze, che tuttavia fecericostruire le fortificazioni pisane
distrutte nel corso delle precedenti guerre.
Dai
documenti appare chiaro chela città
sembrò soffrire di un rapido decadimento fra il XVII e il XVIII secolo, che fu
superatosoltanto sotto il governo delGranduca Pietro
Leopoldo d'Asburgo, che ne modernizzò le infrastrutture viarie emolti palazzi. Nel XIX secolo Pisa conobbe un
ulteriore sviluppo urbanoe la creazione
di importanti opere pubbliche , come la Piazza Vittorio Emanuele (O. Niglio).
In ogni caso, il Medioevo fucertamente il periodo di maggior sviluppo
economico, politico ed artisticodi
Pisa, come del resto dimostra il centro
storico, ricco diedifici religiosi
e civili che richiamano i nomi di Nicola
e Giovanni Pisano.Pisa vanta oggi numerosissime istituzioni
culturali che conservano opere di eccezionale valore artistico.
Fonti:
Annali di Pisa dalla sua origine fino
all'anno 1840,
compilati da E. V. Montazio, Lucca, 1840, Vol. I, p. 18.
M.
Baldassarri-G. Gattiglia, “Tra i fiumi e il mare. Lo sviluppo di Pisa nel suo
contesto ambientale tra VII e XV secolo”, in V Congresso Nazionale di Archeologia Medievale, 2009,pp. 181-187.
S. Bruni,
“La domus nobìilium de Balneum …”, in Concordi
limine maior, ETS, 2014, p.14. Dello stesso S. Bruni, “Pisa Etrusca et loca
et flumina … sed etiam maria, Appunti sulla vicenda di Pisa etrusca”, in Pisa e il Mediterraneo …, a cura di M.
Tangheroni, 2003.
P. Dini, “Sul
toponimo Pisa in una prospettiva indoeuropea”, in AION linguistica, 16, pp. 283-316.
O. Niglio,
“Tesori militari e ipotesi di trasformazione nel nuovo assetto urbano della
città si Pisa”, in Città e Storia,
IV, 2009, 2,pp. 417 sgg.
Pomponii Melae De Chorographia libri
Tres, a cura di P.
Parroni, Roma, Edizioni di storia e Letteratura, 2005[ I Ediz. 1984], p. 146, righe 73-74 e
apparato critico.
Ceccarelli
Lenut, Un castello e la sua storia.
Montescudaio nel Medioevo (2009):
http://www.rmoa.unina.it/852/1/RM-Ceccarelli-Montescudaio.pdf.
Adrano è l'antica Adranòn, detta in latino Hadranum.
Il territorio di Adrano è di antico popolamento; infatti, gli scavi
archeologici condottida Paolo Orsi e
poi proseguiti nel corso degli anni hanno portato alla luce alcuni villaggi ,
composti da capanne protette da trincee e alcune necropoli a fossa ovale, che
indicano chiaramente la tendenza delle antiche popolazioni sicule a insediarsi
nelle zone di pianura in vicinanza dei fiumi. In particolare, l'insediamento
umano nel territorio di Adrano è rappresentato dai resti di un villaggio di
tipocastellucciano. Secondo gli studiosi i villaggi castellucciani
erano costruiti in luoghi “facilmente difendibili, con opere costruite per
l'accesso con un impianto studiato su speroni rocciosi” (M. Coppa).
Diodoro Siculo e altri autori antichiidentificarono il sito di Adrano con quello
dell’antica città di Inessa, ma la
cosa è molto dubbia, perché ci sono almeno due siti in cui potremmo
identificareInessa:
“ Alcuni
proposero la identificazione di Inessa con Adrano; il Savastapose invece Etna-Inessa a Paterno, e metteva
in evidenza la sua ubicazione tra Centuripe e Catania” ( G. Rizza). Un
contributo decisivo per la scoperta di insediamenti umani nel territorio di
Adrano fu quello di P. Orsi (Adrano e la
città sicula del Mendolito) e della Soprintendenza ai beni archeologici di
Siracusa e di Catania a partire dagli anni ‘60. Tutta la zona di Adrano fu
coinvolta nella politica espansionistica di Siracusa , che ottenne la completa egemonia della Sicilia centro
orientale. Nel quadro della loro conquista, i Siracusani fondarono una nuova
colonia, chiamata Adrano. Il fondatore della città fu Dionisio nel 400 a. C.,
che poi i Romani chiamarono Hadranum,
situata sul sito fortificato della rocca di Giambruno, dove esisteva il
santuario di Adranòs,una tra le più importanti divinità dei
Siculi.
Di qui
dunque deriva l'etimologia della città, che ovviamente è riferita al culto del
dio Adranòs, che, secondo la leggenda
di fondazione, ebbe anche una parte di rilievo nella storia della città.
Infatti essa era travagliata dalle lotte interne tra Timoleonte e Iceta:
“[...] Adrano
è presentato come un dio guerriero,
la cui statua di culto suda miracolosamente e agita la lancia all'arrivo del
condottiero corinzio, segnalando così agli Adraniti, indecisi se prendere
partito per Timoleonte o per il tiranno Iceta, quale sia la giusta decisione da
prendere, cioè schierarsi dalla parte del vincitore corinzio. Adranòs, nella sua qualità di Phylatton Daimon (divinità protettrice)
interviene poi in un altro luogosalvando miracolosamente la vita a Timoleonte, che stava per essere
assassinato da due sicari di Iceta, mentre sacrificava sull'altare del dio.
L'azione di Adranòs è coerente con
la sua capacità di identificare e punire coloro che si presentano alla sua
sacra dimora in condizioni di empietà o con sacrileghe intenzioni. Plutarco
inoltre ci segnala la diffusione del culto anche in altri villaggi dell'isola,
diffusione che se da un lato appare […] come l'esito di un confronto
politico-ideologico tra il gruppo etnico Siceliota e i Siculi ” (N. Cusumano).
La città di
Adrano si scontrò duramente con i Romani,
opponendosi alla loro conquista nel 263 a. C., al tempo della prima guerra punica, subendo un pesante
assedio che culminò con la totale distruzione della città. Le ricerche
archeologiche documentano con chiarezza i segni ed il grado di distruzione
inferto alla città greca, di cui rimangono anche i resti della successiva centuriatio romana, che sembrano
estendersi fino al Mendolito ed ad altre contrade. La città fu dotata dai
Romani di una importante rete stradale, con funzioni di carattere militare ed
economico,di cui parlano l' Itinerarium Antonini e la Tabula Peutingeriana. Il cosiddetto Ponte dei Saraceni, che ingloba in sé
elementi di stile tipicamente romano dimostra inoltre che Adrano ritornò
nell'Alto Medioevo ad essere una importante roccaforte araba per il controllo
strategico degli accessi e degli itinerarilungo il fiume Simeto.
Nella
distinzione amministrativa deimusulmani, Adrano vide pertanto rafforzata ancora una volta la sua
funzione militare. Per i conquistatori arabi il territorio di Adrano fu
importante non solo dal punto di vista militare; esso era infatti ricco di
acque fluviali e sorgive, e ciò diede un particolare impulso alla fondazione di
nuovi villaggi e casali. L'apporto culturale degli Arabi fu notevole sotto
l'aspetto dell'agricoltura; essi infatti introdussero nuovi tipi colture come
il lino , il cotone gli ortaggi, gli agrumi, il gelso, la canna da
zucchero,il riso, nonché
importantitecniche agricole perl'irrigazione dei campi.
La crisi
dell’ insediamento arabi di Adrano iniziò con l’avvento in Sicilia dei Normanni. Occupata Messina e le valli
dell'alto Simeto e del Salso, i Normanni avanzarono verso Catania, incontrando
la resistenza dei presidi dei centri agricoli arabi situati lungo il fiume
Simeto. Adrano-Adernò fu conquistata dai Normanni dopo la caduta di un
importante casale, chiamato Bulichiel.
Nella ripartizione della Sicilia in diocesi voluta daRuggero,
Adrano entrò a far parte della Contea di Catania, ed essa fu infeudata al
vescovo Angerio. In seguito fu
assegnata ai membri della famiglia reale, facendo capo ad un vasto territorio
comprendente Centorbi e confinante a Sud-est con le terre di Paternò.
Nel
corsodella minore età di Ruggero II, la città ed il suo
territorio furono oggetto di una vasta operazione di infeudamento delle terre
più fertili della Sicilia orientale ai nobili di origine Normanna, spesso imparentati
con la regina Adelasia, sotto la reggenza della quale si determinò un largo
fenomeno di immigrazione di coloni normanni provenienti dall'Italia
settentrionale,i cosiddetti Aleramici e i Longobardi (detti
“Lombardi”). Al popolamento del territorio da parte dei feudatari seguì il
richiamo di coloni nelle terre dei monasterilatini e basiliani (ossia cristiani di rito greco). Come dicevamo, la
giurisdizione feudale fu esercitata da famiglie direttamente legate alla
dinastia normanna, e si estendeva su un vastissimo territorio comprendente,
oltre ad Adrano, ancheCentorbi,
Paternò, Capizzi, e altre località.
Per la organizzazione del suo territorio, Ruggero necessitava di conoscere molto
bene la situazione delle proprietà terriere. Di qui nacque l'opera di geografia
più importante del Medioevo Siciliano, ovvero Il Libro di Re Ruggero, opera del geografo arabo Al Idrisi, che lo scrisse per diretto
incarico di Ruggero II. Secondo Al Idrisi, Adrano era un
“grazioso casale, quasi una piccola città;
essa sorgeva su una cima rupestre, era dotata di un mercato, di un bagno, di
una bella rocca e abbondava di acque. Essa era situata ai piedi dell'Etna” (Al
Idrisi).
Adranoin seguito si ingrandì non solo grazie
all'attività ediliziaavviata dai grandi
signori feudali ma anche dai monasteri. In età moderna Guglielmo Raimondo Moncada nel 1501 ottenne dal sovrano una
“licentia populandi” (licenza di ripopolamento). Tale privilegio, promulgato
dalla Corona,consentì a Guglielmo
Francesco Moncada di ricostruire e ripopolare Adrano. Questo fenomeno di
ripopolamento delle campagne fu un evento epocale per la Sicilia, ed è stato
ampiamente studiato. In generale, possiamo affermare che esso fu
“il frutto
di una scelta deliberata di popolamento da parte di un Signore; essa era poi
sancita dall’autorità con la concessione di una ‘licentia populandi’. Con
questo evento storico, la colonizzazione feudale visse la sua epoca aurea nei
sessant’anni tra il 1590 e il 1650. Il secentesco ‘ritorno alla terra’ si caratterizzò
dunque in Sicilia per questo imponente sforzo baronale di ripopolamento della
campagna” (F. Benigno).
Tuttavia,
rimarchiamo anche il fatto che la tendenza al ripopolamento delle campagne
siciliane fu per la nobiltà locale non soltanto un colossale affare economico,
ma anche uno strumento per il raggiungimento di un rango più elevato negli
“onori nobiliari”, con un conseguente accrescimento anche del proprio potere
politico. Le aumentate risorse economiche derivanti dalle attività industriali
e commerciali produssero un processo di sviluppo della città. Le comunità
religiose costruirono case, chiese e palazzi, e il fervore religioso legato
alla Controriforma diede ampio
spazio allo sviluppo dello stile Barocco,
che determinò un'attività di costruzione e di ricostruzione degli edifici
ecclesiastici grazie alla potenza economica raggiunta in questo periodo dalle
istituzioni religiose.
Ad esso si
accompagnò l'edificazione delle nuove residenze della nobiltà locale concepita
per aderire agli stilemi dello stile Barocco sotto il profilo architettonico e
funzionale, e per stabile una nuova armonia con l'impianto urbano. A ciò si
aggiunse anche la ristrutturazione dei conventi
e dei monasteri, che a partire
dalla metà del XVI secolo furono edificati dentro la città. Le nuove
costruzioni religiose e civili sorsero all'interno dei quartieri
cinquecenteschi e medioevali,nelle aree
libere occupate da orti e giardini.
Dopo il
lungo periodo di decadenza demografica ed economica conseguente al terremoto
del 1693, che si protrasse anche nel secolo successivo, con l'avvento dei Borboni la città conobbe una nuova
espansione edilizia. A partire dal 1750 il recupero demografico provocò
l'ampliamento della città verso nord fino all'attuale piazza Leone XIII, con la
costruzione del quartiere di S. Filippo, sorto intorno alla Chiesa costruita
verso la fine del XVIII secolo; e anche altri ampliamenti furono effettuati nel
corso del XIX secolo. Oggi Adrano, per i monumenti
storici e il ricchissimo patrimonio
archeologico ed artistico è una
città con una forte vocazione turistico-culturale, cui si accompagna un
paesaggio che sedusse tutti gli osservatori stranieri che, fino dal XIX secolo,
ebbero la possibilità di visitare l’antichissima Adranòn.
Fonti:
Al Idrisi, Il libro di Ruggero, a cura diM. Amari, Roma, Salviucci, 1883, p. 56.
F. Benigno,
“Vecchio e nuovo nella Sicilia del Seicento: il ruolo della colonizzazione
feudale”, in Studi storici, 1986, n.
1, p. 95.
M. Coppa, Storia dell'urbanistica: Dalle origini all'ellenismo, Torino, Einaudi, 1969, Vol.
II, pp. 593 sgg.
N. Cusumano,
“Siculi”, in Ethne e religioni nella Sicilia
antica, in Atti del Convegno
internazionale ( Palermo, 6-7 dicembre 2000), Roma, 2006, pp. 129-130.
P. Orsi,
“Adrano e la città sicula del Mendolito”, 1898-1909 (a cura di P. Pelagatti),
in Archivio storico siracusano, p.
137.
G. Rizza, “Scoperta
di una città antica sulle rive del Simeto: Etna-Inessa?” in La parola del passato, 1972, p. 473
nota.
G.
Savasta,Memorie storiche della città di Paternò, I, Catania, 1905, p. 26
sgg.
Il
territorio dove fu fondata la colonia greca di Cuma fu abitato fin dall’età preistorica. Fra tutte le colonie
greche della Magna Grecia, Cuma, situata sulla costa della Campania, di fronte
all’isola d’ Ischia, fu certamente una delle più antiche. La sua
fondazionerisalirebbe al 740 a.
C.,preceduta da quella di Ischia [ Pithekoùssa] che risalirebbe al 770 a.
C. Ischia fu un notevole centro artigianale e commerciale greco con interessi
verso l’Etruria ed il Lazio, ed inoltre
era ricchissima di giacimenti di argilla per la fabbricazione dei vasi.
Secondo il mito,i fondatori di Cuma sarebbero stati gli
ecisti (fondatori) Ippocle e Megastene. I fondatori di Cuma
trovarono un terreno particolarmente fertile ai margini della pianura campana,
ma, pur continuando le loro tradizioni marinare e commerciali, i coloni greci
di Cuma rafforzarono il loro potere politico ed economico anche grazie allo
sfruttamento della terra,estendendo il
loro territorio a danno dei popoli confinanti.
L’etimologia di Cuma, potrebbe essere appunto legata a questa straordinaria
fertilità del suolo, anche se la questione è molto complessa, perché si
scontrano tradizioni mitiche differenti, ma al tempo stesso suffragate da
testimonianzeper vari versi
convincenti.Senza entrare nel merito
della diatriba, possiamo affermare che l’ interpretazione dell’etimologia di
Cumaèbasatasulle testimonianze delle
più antiche monete della città, che riportavano l’iscrizione “KVME” o
“KVMAION”.In breve sintesi, e secondo
un’ipotesi largamente condivisa, il toponimo rimanderebbe al concetto di
“fertilità”. Infatti, “Kvme” significherebbe “gonfiare”, o “essere
gravida”:il che rinvia al concetto di
una “Dea Madre”, simbolo della fertilità: “colei che è ripiena del frutto del
concepimento”. Questa etimologia sembra essere corretta ed estremamente
convincente.
Tuttavia,
accanto ad essa, le antiche monete
di Cuma ripetono anche l’effigie della dea
Atena con l’elmo, il che ha comportato l’ipotesi di una correlazione tra
“KVME” e il termine Amazzone (in
greco “Kyme”), anche perché è stato ipotizzato che ladonna guerriera effigiata sulle monete fosse
appunto “Kyme”, ossia una famosa amazzone della città di “Kyme” nell’Eolide in Grecia.
Del resto, è stata sottolineata anche la “dimestichezza” dell’antica Cuma con
le leggende relative alle amazzoni, che erano famose nel mondo antico come fondatrici di città (M. Caccamo Caltabiano).
Nel corso
dei secoli, Cuma stabilì il suo predominio su quasi tutto il litorale della
Campania, scontrandosi inevitabilmente con gli Etruschi di Capua,che però furono sconfitti. In seguito i
Cumani allargarono la loro colonizzazione interna, fondando una città dalla
storia illustre, ossiaNeapolis ( l’attuale Napoli ). Con
laconquista Romana della Campania (IV
secolo a. C.), Cuma fu altresìinsignita
del titolo di“civitas sine suffragio”
[città senza diritto di voto]. Con l’avvento di Annibale, Cuma si schierò con i Romani, ai quali rimase fedele
nelle lunghe battaglie contro i Cartaginesi, diventando infine “municipium”,
termine con cui s’indicava una “città libera”.
.
Nel corso
dellele guerre civili che travagliarono
Roma per molti anni, Cuma fu un
importante avamposto militare dell’imperatore Augusto, che fece di essauno dei suoi luoghi preferiti di vacanza e di riposo.Dopo la caduta dell’Impero Romano, nel
periodo delle incursioni barbariche,Cuma, posta su una collina inaccessibile e fortificata, resistette
efficacemente alle incursioni dei barbari. Nel corso della guerra gotica, Cuma
fu conquistata dai Bizantini, e in
seguito dai Longobardi e dai Saraceni, diventando una loro
roccaforte fino agli inizi del XIII secolo, quando furono sgominati.
Il declino,
l’abbandono della città e la sua definitiva
scomparsa furono dovuti all’impaludamento della zona; le paludi ricoprirono per secoli le tracce
dell’antica civiltàcumana, che fu
riportata alla luce dagli scavi archeologici, con il ritrovamento di molti
manufatti, comecollane in pasta di
vetro, scarabei, una statuetta egiziana di maiolica verde, ed infine
alcuni“skyphoi” (vasi).Le più antiche testimonianze della cittàgreca furono scoperti sull’acropoli, con
edifici consacrati certamente ad Apollo“divinità protettrice di Cuma), e a
Zeus. Nella prima metà del XX secolo fu fatta anche la scoperta della famosa
grotta dove la celebre “Sibilla Cumana”, ispirata da Apollo, pronunciava i suoi
vaticini inappellabili, che la resero famosa in tutto il mondo antico.
Fonti:
M. Caccamo
Caltabiano, “KVME-ENKYMON. Riflessioni storiche sulla tipologia, simbologia e
cronologia della monetazione cumana”, in Archivio
Storico Messinese, III Serie. Vol. XXX. Anno 1979, pp. 19 sgg.